lunedì 15 luglio 2013

Il lusso dell'estate e un cous cous con verdure e mandorle tostate


C'è un momento dell'anno in cui vivere in quest'isola sperduta del Mediterraneo è veramente un lusso.
Vi avviso: non sono affetta da nessun "orgoglio" sardo, non mi sento speciale solo perché sono nata in Sardegna, non vivo nel mito del mirto, delle seadas o del porcetto.
Amo questa terra per tutto il bello che sa essere e la odio per tutto il brutto che può rappresentare.
Odio essere lontana e dover attraversare il mare per raggiungere qualsiasi posto che non sia questo, odio un certo tipo di arretratezza culturale e sociale che ancora ci affligge, odio il ritardo cronico che abbiamo sul cambiamento e odio anche il fatto che l'essere così isolati significhi ridurre al minimo la presenza in questa terra di persone che non siamo "noi".
Questo non toglie che ci siano profumi, silenzi, spazi sterminati, colori e panorami speciali, che questo vivere in una terra disabitata, definita nei suoi confini dal mare, possa condizionare il nostro modo di stare al mondo, che "l'isola" possa diventare un stato dell'anima.
E soprattutto non toglie, giusto per parlare di cose concrete, che la Sardegna sia circondata da un'acqua cristallina che bagna meravigliose spiagge di sabbia bianca.
Questo significa, almeno per chi come me vive a pochi km dal mare, poter avere la sensazione per 3 mesi all'anno di partire in vacanza ogni fine settimana.
Senza pagare l'aereo, l'albergo o la sdraio. Si, perché qua, anche se i soprusi non mancano e gli stabilimenti si allargano, ancora la spiaggia è di tutti (o quasi).
Qua davvero andare al mare non costa nulla, il peggio che ti può capitare è di dover pagare il parcheggio o rinunciare alla Pelosa.
Ebbene tutto questo scrivere solo per annunciarvi che è iniziata ufficialmente, anche se in clamoroso ritardo, la mia stagione balneare.
Le amiche, le chiacchiere, le nuotate, addormentarsi sotto il sole della sera, il rumore del mare, le birrette al tramonto, vanity fair, un bel libro, la frutta fresca che sa pure un po' di mare, tanto relax e tanta vita.
Sapere che questa condizione di piacere assoluto potrà durare da qua alla fine di settembre è un pensiero che rende ogni cosa più lieve.
Proprio come tornare a casa distrutti dal sole, dalle nuotate, dalla salsedine, buttarsi in doccia e sapere che la cena è già pronta, che il cous cous preparato al mattino è lì che ci aspetta.
Questa ricetta è nata per caso, perché avevo della verdura comprata alla coldiretti e volevo consumarla.
Come sempre è una ricetta facile, ma che da tanta soddisfazione.
Estiva da morire, proprio come l'abbronzatura che aspiro ad avere da qui a qualche giorno.

giovedì 4 luglio 2013

Gentile Presidente del Consiglio e noi che fine facciamo?


Gentile Presidente del Consiglio è da quando ha parlato di politiche del lavoro che mi chiedo: e noi, che di anni ne abbiamo 34, che fine facciamo?
Perché quando si parla di lavoro si parla sempre di giovani, quelli compresi tra i 18 e i 30 anni.
E lo capisco e lo condivido, ma noi?
Quelli compresi tra i 30 e 40 anni, quelli che il lavoro non ce l'hanno mai avuto, oppure è precario o peggio lo stanno perdendo, sono in cassa integrazione o sanno che non verranno riconfermati.
La nostra è  una generazione che tutti fanno finta di non vedere: la politica, i sindacati, i giornali, perfino le statistiche.
Noi  che ci siamo diplomati e il lavoro non c'era già, ma tutti ci dicevano che se avessimo studiato, se ci fossimo presi una laurea, beh un'occupazione in qualche modo l'avremmo trovata.
Eccoci, siamo noi quelli che si sono iscritti in massa all'università pensando servisse ancora a qualcosa, noi che abbiamo affollato le aule, pagato le tasse, subito un paio di riforme e scoperto in corsa che quel titolo era poco più che carta straccia.
Noi che, ancora ottimisti ed illusi, abbiamo inaugurato la grande stagione della formazione post-laurea.
Perché a un certo punto ci hanno detto la fatidica frase: "senza un master non vai da nessuna parte".
E ci abbiamo creduto trasformandoci prima nel grande esercito dei masterizzandi e poi in quello degli stagisti.
Eh si, questa parola per lungo tempo sconosciuta è entrata nel vocabolario di un intero paese proprio quando la nostra generazione di sfortunati ha invaso aziende, cooperative, uffici pubblici e tanti altri posti molto più strani di questi.
Forse ai primi è andata meglio, il sistema con loro ha funzionato, si sono specializzati, sono entrati in una azienda che aveva bisogno di loro, che li ha formati e li ha tenuti.
Ma questo sistema meraviglioso è durato poco, giusto il tempo necessario al moltiplicarsi dei corsi, al trasformare quella bella idea "organizzo un master e formo il personale che mi serve" nel grande business della formazione.