mercoledì 10 gennaio 2018

Natale in corsia



Non avevo fatto in tempo ad iniziare a lamentarmi del dormir poco, dello stare chiusi in casa, dell'allattare senza sosta e di tutte le rotture di palle dei primi mesi di vita dei neonati che il Piccolo F. ha pensato bene di darmi una ragione per rimpiangere immediatamente la noia, il divano, le mura di casa, le notti complicate.
10 giorni di ospedale, bronchiolite con tutti gli annessi possibili, ossigeno, flebo, antibiotici, lastra, notti insonni, terapie, aghi, punture, pianti e una grande sensazione di impotenza.
Per fortuna oggi possiamo dire che tutto è passato, il Piccolo F. sta bene, noi siamo sopravvissuti allo spavento e alla stanchezza, la Piccola I. non ci odia e ruttini, cacche e ore di sonno sono tornati in cima ai nostri pensieri.
Certo è che il Piccolo F. ci ha messo davanti, sin da piccolissimo, alla nostra vulnerabilità, alle nostre paure e al nostro personale rapporto con la malattia, la cura, la salute.
Ci ha messo di fronte alla consapevolezza che lo stare male di un figlio è per noi un dolore quasi insostenibile, sempre, sia che si tratti di una condizione definitiva o transitoria, di uno stato più o meno grave.
Nonostante questo posso dire che "abbiamo tenuto botta", che dopo lo sgomento e la paura iniziali abbiamo capito che in fondo era andata bene e che c'era di sicuro, qualche stanza più in là, qualcuno che stava molto peggio di noi, che abbiamo saputo affidarci a medici ed infermieri senza dare di matto e che questo ha reso la nostra permanenza in ospedale umanamente sostenibile. Siamo perfino riusciti a far arrivare Babbo Natale alla presenza di entrambi e a dividerci (quasi) equamente il cenone della Vigilia, il tutto perché la Piccola I. potesse godersi il Natale in serenità.
Insomma abbiamo limitato i danni, per quanto possibile.
Quanto al Piccolo F. la pagherà cara, sia chiaro, il dicembre del 2017 glielo rinfacceremo per sempre, non gli basteranno 20 anni per espiare le sue colpe perché nelle sue prime 5 settimane è riuscito a farci perdere 30 anni di vita.
Scherzi a parte, ora siamo tornati alla routine, fatta eccezione per la campana di vetro che abbiamo allestito in salotto e nella quale lo abbiamo fatto accomodare: uscite solo con il bel tempo, amuchina come se piovesse, divieto d'accesso per i portatori di germi, pugno duro con i toccatori di mani e gli sputacchiatori di professione.
Insomma noi, i genitori del "cosa gli farà mai una leccata di cane", noi che non abbiamo esitato a mettere in bocca a nostra figlia un ciuccio appena caduto nelle scale della metropolitana di Londra e sciacquato al volo, noi che non sappiamo cosa sia uno sterilizzatore, bene noi siamo diventati ufficialmente dei genitori ansiosi, fissati con l'igiene e consapevoli che la sfiga si nasconde ovunque, anche nelle mani che toccano altre mani, nei luoghi chiusi e pieni di gente, nei raffreddori di parenti e amici.
Detto questo se non avessimo passato un esaltante "Natale in corsia" vi avrei raccontato di come ogni figlio sia diverso (una rivelazione eh), di come pensassi che certi passaggi potessero andare lisci come l'olio e di come invece, nonostante l'esperienza, si sia trattato di iniziare tutto da zero.
Ho quindi misteriosamente meno latte che per la Piccola I. e a sorpresa il piccolino di casa si sta nutrendo anche della mitica "aggiunta", le strategie notturne funzionano, ma il sonno resta un problema irrisolto, quello strano senso di solitudine che i primi mesi si portano dentro è tornato e ogni tanto fa male, nonostante la consapevolezza che poi passa e non ci pensi più.
Insomma il primo periodo è, anche per il secondo figlio, un misto di tenerezza e frustrazione, di noia e divertimento, di stanchezza infinita ed inesauribili energie. E' tutto e il contrario di tutto, con un pensiero costante rivolto al primo figlio e un unico punto fermo: l'amore.








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