Il mio è il profilo perfetto della "precaria da programma televisivo": laureata velocemente e a pieni voti in Conservazione dei Beni Culturali, con l'assurda convinzione che la cultura potesse essere la prima risorsa di questo paese, masterizzata, stagista pluri-decorata, esperta vincitrice di borse di studio, stanziale in graduatorie da cui non pescheranno mai, emigrata e poi tornata in patria, dotata di curriculum lungo e variegato, fortunatamente mai senza lavoro, ma ahimè sempre precaria e con contratto a progetto.
A volte pagata meglio, altre peggio. Da alcuni caricata di responsabilità folli, da altri rispettata, da altri ancora sotto-dimensionata.
In questi anni ne ho viste e sentite di tutti i colori. Ho avuto fortuna, ma anche tanta sfortuna.
Ho accettato proposte che avrei voluto rifiutare, ma mi sono anche opposta a certe palesi violazioni della mia dignità di persona e di lavoratrice.
Ho sempre dovuto fare i conti con la lunga fila di persone che, giustamente, non aspettano altro che tu dica "no" e te ne vada sbattendo la porta per accaparrarsi il tuo posto sfruttato/ingiusto/sotto-pagato, perché loro non hanno neanche quello.
Ho saputo godere degli aspetti positivi che la dimensione della precarietà porta con sé, come la possibilità di cambiare e di affrontare sfide nuove e stimolanti.
Non mi sono mai dovuta preoccupare delle riforme sulla pensione, perché non l'avrò mai.
Ma neanche dell'articolo 18 perché quelli come me non ne hanno diritto.
Ho sviluppato con la mia condizione lavorativa un rapporto altalenante.
Da una parte ringrazio sempre di averlo un lavoro e ad oggi ringrazio anche che sia nella mia città e che sappia essere molto divertente e stimolante.
Dall'altra penso che questa condizione potrebbe finire tra 6 mesi, che guadagno poco, che non posso permettermi di ammalarmi gravemente, né di farmi un figlio con la stesse tutele delle altre.
Insomma ci sono giorni che vorrei un noiosissimo lavoro a tempo indeterminato, che mi prenderei in carico tutto - i colleghi ignavi, il grigiore della burocrazia, la frustrazione di fare tutta la vita qualcosa che non piace - pur di aver la certezza dello stipendio a fine mese, l'entusiasmo di un regalo chiamato "tredicesima", l'obbligo di dover "consumare le ferie", la certezza che quel posto è "per sempre" (o quasi).
Le riflessioni in merito sarebbero tante, è un discorso lungo e complesso e non trovo abbia senso ricostruire qua con voi il mio percorso dal liceo ad oggi. Ma una lista di quelli che proprio mi sono stufata di sentire ve la faccio. Ve ne dico 5, li divido per categorie:
1)Quelli che non perdono occasione per nominarti qualcuno, anche in gamba, che ha trovato un lavoro a tempo indeterminato grazie a conoscenze/raccomandazioni/aiuti e che aggiungono alla frase, detta con il tono del "peggio per te, avevo ragione io", le parole : "tu ti sei sempre rifiutata". Perché dovete sapere che vengo spesso colpevolizzata in quanto persona onesta e corretta.
2) Quelli che il lavoro gli è piovuto dal cielo (figli che hanno preso il posto dei padri, raccomandati che hanno passato senza fatica il primo concorso fatto in vita loro, persone che hanno avuto la fortuna sfacciata di essere al posto giusto nel momento giusto etc), e che pensano che cada dal cielo un po' a tutti e che tu semplicemente fossi distratta.
3) Quelli che ti dicono: "ma perché non vai fuori..." Come se nel resto di Italia fosse una pacchia, come se non ci fossi già andata fuori. Come se vivere in Italia o in Germania fosse lo stesso. Come se a un certo punto della vita uno non dovesse fare i conti anche con gli altri innumerevoli (per fortuna) aspetti della propria esistenza, dall'amore alla famiglia passando per la disponibilità di una casa.
4) Quelli che ce l'hanno scritto in faccia quello che stanno pensando: "hai studiato conservazione delle merendine e ti lamenti? ti vuoi occupare di cultura con tutti i problemi che ci sono al mondo? Ma perché non hai fatto medicina invece di rompere le palle?
5) Quelli che hanno capito tutto e ti suggeriscono migliaia di soluzioni - impossibili - e tu sembra pure che ci prenda gusto a smontargliele, sembra che non ti vada proprio di darti da fare. E' che non c'è il tempo di spiegare loro che è tutto molto più complicato di come sembra e che quella che dovrebbe essere considerata una risorsa, in questo Paese è solo un peso ed una voce di spesa da tagliare, che le soprintendenze sono piene di ingegneri, commercialisti, agronomi ed avvocati e che invece tutti ignorano esistano eserciti di giovani formati per essere manager della cultura, che nel settore si investe poco e male, che stiamo pagando anni e anni di clientelismo politico che se doveva sistemare un raccomandato-incapace lo piazzava giusto giusto in qualche museo o biblioteca.
Ecco, voi che vi rivedete in una di queste 5 categorie, parlo proprio a voi, contate fino a dieci prima di discutere con me di precariato.
Anche se io vi capisco e vi vorrò comunque bene.
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